i retroscena del blitz Reset
Pronti a mettere le mani sulla gestione delle ambulanze nel nuovo ospedale di Biancavilla.
Si tratta di un blitz che rappresenta il naturale prosieguo di un’altra operazione assai simile, denominata “Onda d’urto”, che nel dicembre dello scorso anno portò agli arresti dodici persone. In quell’occasione nel mirino del racket ci sarebbe stato Luca Arena, nei fatti titolare di un’agenzia di trasporti funebri che poi fu costretto a lasciare Biancavilla per vivere in una località protetta; in questa circostanza la vittima sarebbe stato il fratello di Luca, Giuseppe, anch’egli proprietario di un’agenzia di onoranze funebri (intestata alla moglie) e la cui situazione è stata e viene ancora seguita con grande attenzione dai militari dell’Arma.
I quali, di concerto con la Procura, hanno deciso di intervenire a tamburo battente anche per evitare che i sei arrestati dell’operazione “Reset” – Angelo Girasole, Alberto Gravagna, Vincenzo Monforte, Alfio Muscia, Alfio Petralia e Carmelo Vercoco – potessero colmare il vuoto lasciato dai loro predecessori.
La vicenda è quanto mai complessa, anche perché non sono pochi i momenti in cui Giuseppe Arena prende contatti con i presunti affiliati al clan Mazzaglia-Toscano-Tomasello. Il primo approccio in assoluto, però, stando a quanto emerso in sede di indagine, è quello fra la vittima e Vincenzo Monforte: l’uomo – siamo nel novembre dello scorso anno – avrebbe proposto una società al cinquanta per cento, che avrebbe avuto il fine di mantenere l’agenzia dell’Arena lontana dai guai. La società non si fece, ma alla fine l’accordo sarebbe stato trovato sulla base di duecento euro da versare nelle casse del clan per ogni funerale organizzato.
Gli arresti dell’operazione “Onda d’urto” avrebbero spiazzato, però, la vittima, che si sarebbe messa all’opera per capire a chi versare la mazzetta. In un primo momento si sarebbe presentato il Gravagna (per conto dei Monforte), quindi il Girasole, infine Carmelo Vercoco, che avrebbe indicato come suo tramite Alfio Petralia “ ‘u zuccaru”.
In tale ultimo frangente ci sarebbero stati anche momenti di tensione, perché il “pizzo” sarebbe stato atteso sia da Girasole sia da Petralia. A fronte delle rassicurazioni degli uni e degli altri, sarebbe stato il Girasole a consigliare una linea di condotta: «Metti ‘sti soldi da parte e poi li consegni quando escono i “grandi”… Questi sono “infamuni” e i soldi finiscono in tasca a loro».
La situazione di stand by durò poco, anche perché in breve l’Arena avrebbe corrisposto agli estortori il dovuto: 600 euro per i tre funerali organizzati in paese.
Nell’ambito dell’attività finalizzata a chiarire questi passaggi, gli investigatori avrebbero fatto luce sull’altro affare del clan, legato alla gestione delle ambulanze nel vecchio e, a breve, nel nuovo ospedale di Biancavilla. Nel primo caso ci sarebbe stato un accordo con i “durnisi”, gli adraniti, che potevano tenere una loro ambulanza, da alternare nei viaggi di soccorso con quella dei “biancavilloti”; nel secondo, ancora non inaugurato, l’idea era quella di estromettere gli adraniti e di controllare l’affare per proprio conto.
In tutto questo si ritrova invischiato ancora Giuseppe Arena, proprietario di un’ambulanza sprovvista di copertura assicurativa che, per questo motivo, viene posta sotto sequestro dai carabinieri. L’uomo vuole sbarazzarsi del mezzo, pensa di procedere con la vendita o con la demolizione, ma sarebbe stato fermato da Muscia e Petralia, i quali gli ricordano che l’ambulanza potrà servire per il nuovo ospedale. Anzi, si progetta un accordo secondo cui Muscia avrebbe pagato il verbale per il dissequestro e gli adraniti la copertura assicurativa. Un accordo saltato all’ultimo istante, perché non ritenuto redditizio o dagli uni o dagli altri.
Tornando al nuovo ospedale, l’obiettivo era quello di costringere gli adraniti a rinunciare attraverso un piccolo artifizio: «Gli diciamo che serve un’ambulanza da ottantamila euro, così loro si tirano indietro. Se accettano, a loro chi glielo dice se andiamo a recuperare per i fatti nostri un mezzo da trentamila euro e ci mettiamo tutto in tasca?».